Libri Acquaviva

Libri Acquaviva
poesia, romanzi, racconti, filosofia

venerdì 24 ottobre 2008

Filosofia del racconto (Pagine:267)

IL NOSTRO OSCURO

Narrerò sempre storie e ogni storia che vi racconterò avra come sottofondo una ricerca, qualche volta disperata ma altre volte molto serena, del senso della vita, e congegnato con questa ricerca, il segreto delle storie, cioè la voglia intima e nascosta di comunicare un progetto di felicità, un progetto di liberta, un progetto di amore. E questo il vero motivo: comunicare un progetto di Storia d'Amore Felice. Sarà chiaro nella conclusione.
Comincio col narrarvi una storia del 525 a.C. Ascoltatela cosi come è non state li a vedere cosa può significare. Lo scopo è dimostrarvi con questa narrazione che Bloch cita nel libro Tracce e che fu congetturata dal primo "romanziere" dell'umanità che è Erodoto (il primo narratore e storico greco), come sia possibile non solo tirare fuori dei pensieri molto originali, ma tirare dentro al pensiero quello che noi stessi siamo, quello che vogliamo e, dice Ernst Bloch, quel che ancora non capiamo di ciò che siamo adesso, qui e ora. Entriamo immediatamente in mezzo alle cose. C'era Cambise, il re della Persia figlio di Ciro, che si era messo in testa di mettere a ferro e fuoco l'Egitto, cosa che effettivamente fece. Perchè? Perchè una volta suo padre aveva chiesto al faraone Amasi di mandargli una moglie, ma non una moglie qualsiasi bensì la sua stessa figlia. Era stato spinto a far ciò dalla collera di un medico che era stato mandato per forza in Persia a curare gli occhi di Ciro. Aveva lasciato in in Egitto la moglie e i figli, ma l'aveva giurata al suo faraone e adesso stava li a dare consigli malefici a Ciro per metterlo in contrasto con Amasi.
E infatti Amasi entro in grande dilemma con se stesso: Ciro gli aveva chiesto in moglie sua figlia, ma questo imperatore della Persia aveva già una cinquantina di mogli e praticamente aveva chiesto una concubina. Però se Amasi rifiutava poteva succedere qualche guaio. I Persiani infatti a quell'epoca aggredivano tutti i popoli vicini, quindi Amasi era inquieto, temeva la potenza della Persia ed era indeciso sul da farsi. Mandare la figlia significava mandarla alla perdizione, non mandarla significava inimicarsi il re della Persia, allora usò questo stratagemma. Mandò a Ciro la figlia del faraone che aveva ucciso e spodestato. La vestì come una principessa e la mandò in Persia: "Questa è mia figlia".

Dostoevskij: I Kamazov -tomo secondo- (Pagine: 506)

"L'ASSURDO"

Faremo adesso un passo indietro e due avanti. Vorrei illuminare più a fondo e meglio, effettivamente ne vale la pena, un'idea originale di Dostoevskij che è questa:
"La vita può anche non avere senso, ma non per questo perde il suo valore".
E' una convinzione, è un'idea appunto nuova, come le chiamava lui, assolutamente dostoevskijana e permette a Dostoevskij di analizzare e di comprendere a fondo il Nichilismo e allo stesso modo tentare di superarlo.
Questo e abbastanza importante perchè Dostoevskij non risponde al Nichilismo, nel senso che non da la certezza dell'uscita dal Nichilismo, assolutamente no, però rimane all'interno della stessa domanda che il nichilista pone, cioè: "Questa vita vale la pena di essere vissuta?". Naturalmente il nichilista tende a rispondere "No, non vale la pena di essere vissuta perchè il senso non esiste". Anche a questa affermazione Dostoevskij non rimane disarmato e risponde:
"Bene, può anche non esserci il senso. La vita vale la pena di essere vissuta lo stesso".
In questo si inserisce anche la rivolta di Ivan Karamazov, da incanalarsi in questo campo problematico.
Volevo soffermarmi un pò su quest'idea che effettivamente è un'idea assolutamente dostoevskijana. Perchè di solito come ci si atteggia davanti al Nichilismo? O eludendo la domanda del Nichilismo, cioè facendo finta che non ci sia, oppure facendo risplendere di luce che, tutto sommato può anche risultare abbastanza falsa, abbastanza ipocrita, la risposta. Cioè, quanto più illuminate è la risposta, che il senso c'è e quindi tutte le ragioni, tutte le pratiche intorno a questo senso della vita, tanto più si sbiadisce la domanda del nichilista.

Dostoevskij: I Karamazov -tomo primo- (Pagine: 568)

"LA VERITÀ DELL'UTOPISTA"

IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO. Questo racconto Dostoevskij lo pubblicò nella sua rivista personale; perchè, tra le altre cose, ebbe anche la forza, la possibilità e la potenza di scrivere una rivista, che redigeva per intero da solo. Naturalmente questa rivista è diventata famosa. Si chiamava Diario di uno scrittore. Dostoevskij scriveva anche per un'altra rivista, ma litigò con l'editore (in questi tempi, siamo nel `77, Dostoevskij ha 57 anni) ed è la moglie che lo aiuta. Da solo non sarebbe mai stato capace di organizzarsi, (e adesso vedremo perchè non ne era capace) di inquadrare la propria vita con caratteri concreti, poiché stava sempre ad almanaccare sui suoi problemi, con i suoi pensieri.
Dostoevskij è uno di quegli artisti di carattere romantico intendendo romantico proprio nel senso specifico, culturale di Romanticismo, cioè di quegli artisti assoluti che non scrivono due ore al giorno e passano le altre otto ore al bar a bere birra tranquillamente oppure se ne vanno a fare un lavoro part-time per tre quattro ore.
Dostoevskij viveva la sua condizione di scrittore sempre, se volete anche quando dormiva. E scopriremo che è vero, che una delle componenti particolarmente originale di Dostoevskij è la sua valutazione del sogno nell'ambito dell'esistenza dell'uomo, cosa che lo metterà a contatto con la teoria di Freud. Diranno però cose completamente diverse, perchè per Dostoevskij il sogno era quasi un completamento dello stare svegli, e lo stare svegli era una continuazione dello stato di sogno e quindi i due stati della vita dell'uomo non si precludevano a vicenda. Si può dire che il sogno che l'uomo fa dormendo è quasi simile ai sogni che l'uomo fa quando e sveglio.

Dostoevskij: Teoria dell'amore (Pagine: 475)

"LA TEORIA DELL'AMORE"

Cercherò di darvi una introduzione di carattere generale de L'Adolescente, del nerbo, del succo più importante che, dal punto di vista del pensiero, vien fuori da questo romanzo. Naturalmente per ovvi motivi sarò costretto a essere molto concettoso o anche un po' astratto, però devo farlo, altrimenti non riesco a isolare le idee e a farvele vedere.
Tutto sommato, questo romanzo è assolutamente atipico nella sia pur vastissima produzione di Dostoevskij. In questo romanzo Dostoevskij, secondo me volutamente, predilige il caos, proprio in senso letterale. Questo romanzo è formato da una massa magmatica di avvenimenti, di aneddoti, di storie messi assieme. La trama non c'è. Ci sono vari personaggi principali attorno a cui le storie vanno ad affastellarsi, ma l'incipit, il prosieguo e la conclusione della storia non ci sono secondo me volutamente; anche se molti critici hanno addossato proprio a questa caratteristica unica nella produzione di Dostoevskij un difetto macroscopico.
Vi cito uno dei suoi contemporanei, un indizio a caso, che è di Turgenev: "Dostoevskij si è compiaciuto di scrostarsi le sue ferite sanguinolente e gramose, ne ha fatto una brodaglia e ce l'ha propinata". Praticamente Dostoevskij ha messo insieme una sbobba vomitosa, secondo Turgenev, e ha detto: "Tie, bevete".
E altri ancora dissero:
"Dostoevskij ha svuotato tutti i cassetti di tutto quello che aveva scritto nelle vane epoche della sua vita, lo ha messo insieme e ha tirato fuori questo romanzo". Questo naturalmente nell'intimo; poi questa è l'ipocrisia dell'animo dell'uomo. Turgenev che proprio in questi anni in una enciclopedia a carattere europeo andava compilando la vita dei grandi scrittori russi, indicò ai compilatori francesi che volevano sapere il nome del più grande, il nome di Dostoevskij, uniformandosi al giudizio di tutti. Scrisse anche a Dostoevskij una lettera dove disse:
"E si devi essere certamente tu. Tu sei il più grande fra noi". Questo naturalmente nell'intimo aveva espresso quei giudizi che v'ho detto prima.

Dostoevskij: I nichilisti (pagine: 594)

"IL VOLO DEL DEMONE VERSO LA FELICITÀ"

Il semplicismo di Dostoevskij non e mai semplicismo, state sempre attenti con Dostoevskij che anche quando dice una cosa molto banale non è assolutamente semplicistico. E' semplice, e terra terra, dice pane al pane e vino al vino e quando uno dice la verità dice sempre delle cose molto forti e quando uno dice delle cose molto forti si è tentati di non crederci. Perchè? Perchè ognuno di noi ha la propria interpretazione della realtà, ha una propria concezione anche se non è una concezione con la c maiuscola e anche se nessuno di noi stampa dei libri per propagarla, però bene o male ce l'abbiamo.
Con Dostoevskij, se uno si accosta ai suoi romanzi, una delle caratteristiche prime della sua capacità artistica è che vi scrolla cioè non siete più sicuri di quello in cui credete perchè lui dice la verità. Dice la verità nei suoi stessi confronti. E' quella la sua posizione vincente: si è assunto come obbiettivo primo nella sua opera di romanziere di dire soprattutto la verità nei suoi confronti, di non nascondere assolutamente niente. Naturalmente da questo punto di vista per lui è gioco facile far diventare trasparenti gli altri. Che ne so, un omicida un assassino può essere un santo, un principe può essere un miserabile. Quindi stravolge tutti quelli che sono i cardini fissi della normalità, della quotidianità, del buon senso generale. In questo romanzo lui va molto duro a descrivere i suoi personaggi. Per dire la verità anche nel resto della sua opera Dostoevskij è sempre molto ironico e cerca sempre di distaccarsi dal consueto. Vedremo che questa sua ironia non è assolutamente casuale, e sempre voluta e motivata da un punto di vista artistico e anche estetico.
La tematica di quest'opera I demoni non è assolutamente nuova in Dostoevskij. Voi pensate che il secondo romanzo che Dostoevskij ha scritto, a 27 anni, Il sosia ha già questa tematica assolutamente originale. Per intenderci Il sosia non è solamente il nostro doppio, ma è il nostro doppio che noi crediamo che sia una persona, questo e il sosia. Noi crediamo che sia una persona diversa da noi ma è sempre noi stessi cioè e l'IO spaccato. Questa è una tematica fondamentale del Romanticismo ma anche in tutta la filosofia dell'Ottocento e del Novecento, tempi nostri compresi. E' la spaccatura dell'Io, è l'alienazione dell'uomo che non è se stesso e in questo riconoscersi non se stesso si vede un'altra persona. Una persona che non soltanto è un'altra ma è anche nemica di noi stessi.

sabato 18 ottobre 2008

Dostoevskij: L'uomo buono (Pagine:391)

"IN OCCIDENTE"

Vi parlerò per prima coca dei quattro anni che Dostoevskij passò in Occidente. Si era sposato con Anna Grigorevna, ed era stato costretto a lasciare la Russia per debiti. Non riusciva a pagare i debiti lasciati dal fratello, dal fallimento della rivista e dalla corte di umanità derelitta che gli stava perennemente alle calcagna, non ultimo il figliastro Pascja, la cognata vedova del defunto fratello Michail, i nipoti e poi certi suoi amici un po' parassiti che approfittavano sempre del suo buon cuore, perchè un buon pasto caldo da Dostoevskij poteva sempre uscire. Pascja non lavorava mai e continuava sempre a studiare. Sarà mantenuto sempre dal suo patrigno Dostoevskij anche quando avrà i suoi figli naturali. A un certo punto Anna aveva costretto Dostoevskij: "Dobbiamo andarcene perchè qui ci impediscono di fare la nostra vita. Tu mi hai fatto delle promesse. Mi hai promesso di vivere insieme e di essere felici ma questi ce lo impediscono".
E partirono, in luna di miele se volete. Doveva essere un viaggio che doveva durare tre mesi, sarà un viaggio che durerà quattro anni, con alti e bassi. Però in questi quattro anni Dostoevskij prenderà una massa di appunti enorme che gli serviranno perfino per scrivere I Karamazov, per la verità. Scriverà anche un romanzo compiuto e lo spedirà alla rivista "Il messaggero Russo" che si stampava a Mosca dal redattore Majkov un suo amico che lo aiuterà grandemente in questo periodo, perchè Dostoevskij cade di nuovo nella trappola del gioco e se ne andrà ora ad Amburgo, ora a Baden-Baden, ora a Ginevra, a giocarsi i suoi guadagni letterari e a mandare la famiglia appena formata perennemente sul lastrico. Cosi Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo fa dire a un suo personaggio, però lo possiamo benissimo dire di lui stesso:
"lo sono l'uomo che sta sempre sul limite e che non si accontenta di osservarlo, lo vuole varcare".

Dostoevskij: L'amore felice (Pagine: 377)

IL SOGNO DELLA LIBERTA'

Dostoevskij ha questo in più del romanziere, del narratore comune, cioè di colui che si mette in mente di esporre in maniera artisticamente elaborata degli eventi più o meno intrecciati tra di loro: ha una concezione, forse non bene definita e delineata, ma ben ferma certamente, dell'uomo e del mondo. Ciò Dostoevskij lo prende come retaggio e grande lezione del Romanticismo Tedesco. I grandi romanzieri dell'800 europeo lo influenzano infatti dal punto di vista formale, cioè della tecnica letteraria di composizione, Dickens, Balzac, Hugo, sono certo i suoi maestri di scrittura romanziera, ma il sommo suo maestro ideale e teorico è sempre Schiller, il Poeta. Il più dotato dei Romantici tedeschi, colui che si e sforzato di elaborare teoricamente il senso e la meta dell'Arte contemporanea, anche se tutti fecero altrettanto, da Novalis a Goethe, a Schlegel, a Tieck, a Hölderlin. Tutti si posero il problema dello scrivere: perchè si scrive, cosa significa scrivere, cos'è nella sua essenza l'Arte. Naturalmente se lo ponevano in maniera radicale, tanto da sfiorare e cozzare la piena tragedia. Un nome per tutti: Hölderlin, ma tutti i grandi Romantici vivono cosi intensamente la loro missione di artisti che cadono nella tragedia pura e semplice. Si salva il solo Goethe perchè fa morire Werther, si salva diventando olimpico, colui che realizza l'armonia Uomo-Natura: il grande dilemma è la grande questione in cui noi ci dibattiamo ancora adesso. La nostra cultura, che noi lo vogliamo o no, non è di matrice hegeliana, hegelismo che produce nichilismo.

Dostoevskij: L'uomo del sottosuolo (Pagine: 409)

"I MIGLIORI E I DERELITTI (Umiliati e offesi 1)"

Questo romanzo, Umiliati e offesi, Dostoevskij comincia a pubblicarlo a puntate nel 1861 sulla rivista "Vremja" (Tempo) the aveva fondato con suo fratello. Aveva in mente per la verità di scrivere I Demoni, ma non riesce mai a scriverlo. Prima aveva smesso di prendere appunti perchè era stato costretto a scrivere e Il sogno dello zio e Il villaggio di Stepancikovo. Poi è costretto ancora a interrompere la stesura degli appunti per scrivere questo romanzo a puntate che faccia subito conquistare al pubblico di "Vremja" una bella massa di abbonati per superare gli scogli della sopravvivenza quotidiana. E vale la pena di parlare di questa nuova avventura di Dostoevskij che è appena tornato nuovamente a Pietroburgo.
Va beh, ci sono vane vicissitudini con la moglie, ma non voglio parlare di questo e voglio dedicate l'incontro al circondario esistenziale che sta prima di Umiliati e offesi. Comunque come sapete si può parlare benissimo di qualsiasi opera di Dostoevskij isolandola completamente dalla sua vita, però allo stesso tempo e meglio saperla perchè cosi si ha un quadro più esatto della formazione e dell'ambientazione stessa in cui questi romanzi nascono.
Cominciamo subito col dire che anche questo è un altro di quei romanzi che non sono capiti dai contemporanei. Lo tacciarono di essere troppo libresco, troppo astratto. E naturalmente non possiamo fare tanti rimproveri a questi critici perchè non conoscevano Dostoevskij nella sua vita privata, cosa che noi invece possiamo fare, nel senso che possiamo andare a scandagliare quello che di effettivamente libresco c'è in questo romanzo. E c'è ben poco.

Dostoevskij: Attraverso l'inferno (Pagine: 279)

"LA CASA DEI MORTI"

Col racconto della sua vita ci eravamo fermati al punto in cui Dostoevskij parte per la Siberia, per la casa dei morti, come lui chiama la fortezza di Omsk. In questa fase risulta giusta la mia scelta di narrare e la vita e l'opera e il pensiero perchè questa terribile esperienza marchierà a fuoco la sua anima. Ricordiamoci che Dostoevskij è stato condannato a una finta esecuzione poi in second'ordine a quattro anni di lavori forzati più quattro anni di servizio obbligatorio in un battaglione di linea nella Siberia occidentale. Ed egli parte, manco a farlo apposta, pochi minuti prima della mezzanotte di Natale del 1849.
Per questo romanzo Dostoevskij usa un artificio letterario usato da parecchi scrittori del secolo scorso: il finto ritrovamento di carte di un autore conosciuto o misconosciuto. In questo caso Dostoevskij finge di conoscerlo, ma è un artificio letterario dovuto al fatto che c'è sempre in piena attività la censura ed è una specie di spada di Damocle sull'opera di Dostoevskij stesso.
Se volete usa questo stratagemma per allontanarsi, per defilarsi dalla sua stessa esperienza e quindi per descriverla meglio. Però sapete che lui non e capace di fingere, anche letterariamente, più di tanto, perchè con la sua concezione della letteratura come verità deve per forza scrivere io, e difatti è tutto narrato in prima persona.
Partì, come vi dicevo, la notte di Natale e pare lottò la neve mentre tutti nelle case di Pietroburgo festeggiavano il Natale e vedeva le luci degli alberi di Natale attraverso le finestre, sentiva lo scoppiettio delle bottiglie di champagne che saltavano, e proprio in quel momento Dostoevskij partiva per la Siberia. Il viaggio fu estremamente fastidioso perchè l'intera notte la passò lotto la neve; la slitta era scoperta e ad alcuni compagni di Dostoevskij si congelarono le orecchie e il naso.

Dostoevskij: Il Sognatore (pagine: 415)

"GIOBBE NELLA SPAZZATURA"

La verità sta nell'intero e si trova nello sviluppo preso nel suo complesso. Una cosa di questo genere per quanto riguarda la storia di un pensatore credo che sia una verità incontrovertibile. E' proprio questo il mio intento, non altro, perchè uno potrebbe anche leggersi le biografie, leggersi i romanzi da solo: il mio intento c di scovare, di stanare il pensiero originario di Dostoevskij, ed e una cosa che non è stata fatta. Non è che lui fosse un filosofo o un pensatore professionista e salisse in cattedra e professasse la sua verità. Lungi da Dostoevskij una cosa simile: era il massimo dell'umiltà, il massimo dell'esser sempre discepolo; anche in tardissima età, quando ormai aveva sessant'anni, pensate che si fece discepolo di un giovane di vent'anni, Solovev. Naturalmente le cose stavano all'opposto, però a lui piaceva fare sempre il discepolo. Per la verità questo era anche il segreto della sua poetica, imparare sempre da tutti e da ciascuno, anche dal mendicante, dal diseredato, dalla povera gente. E voi sapete che sono i protagonisti principali delle sue opere. Bene, lui imparava la loro storia e dalla loro storia imparava la verità della loro vita. Vedete: immediatamente viene fuori la sua filosofia, che lui definì in maniera molto particolareggiata. Quindi dal punto di vista del pensiero Dostoevskij non è assolutamente un ingenuo, come potrebbe apparire a prima vista, e non è assolutamente uno sprovveduto, come i critici e gli esegeti vari hanno sempre cercato di gabellarlo. Perchè effettivamente la sua formazione, di cui parleremo, è fondata sui massimi maestri del nostro tempo, il tempo in cui adesso noi tutti stiamo vivendo.

Italia Mondiale (Pagine:20)

ITALIA

La mia squadra
è come un aereoplano
che precipita vincendo.
La mia squadra è un leone affamato.
La mia squadra
è una spaccata spericolata
che butta il pallone nel sacco.
Evviva la gioia del cuore!
E' come un grande sospiro
che dilaga fino al cielo.
Son forti i discorsi dei mediani
che galoppano per l'universo
e pensano all' innamorata
e pensano all'immane fatica.
Il sorriso è un monte nascosto
sotto un mare di affanni.

I Migliori -parte2- (Pagine: 243)

Per ingigantirsi l'uomo mente, ma chi dice la verità e sempre il più grande.

Letteratura e borghesia. Il meglio sono i soldi.

I Migliori (Pagine: 317)

Non credere in niente, fatti molto più piccolo di quello che sei, e sarai il più furbo di tutti.

L'uomo è un dio senza miracoli.

L'assassino (Pagine: 373)

Il vento è insaziabile:
tutto
porta via
o almeno accarezza
con i turbini polverosi
del suo vuoto nulla.
Gli ubriachi
lo sanno
ed è per questo
che gia al mattino presto,
disperati,
chiedono dei caffè appena aperti e vanno avanti, testardi,
fino alle ragnatele della notte
che cattura le loro anime scialbe.
Del resto
per le strade viscide
di vomiti
e di sangue tanti scontano
una sorte peggiore.
I pazzi
e gli assassini, dicono,
si tengono sempre pronti.
A cosa
nessuno riesce a dirlo però,
perchè, forse,
è del tutto indifferente
quel che accade
è ammazzare o morire
risulta, alla chiusura del mercato,
quasi la stessa cosa.

Storie contadine (Pagine: 139)

LA LUNA GIU' PER IL CAMINO

Una volta Trusc, detta così perchè di carattere somigliava a una capra, ruppe la pignatta dove bolliva la cena dell'intera famiglia.
Al padre di ritorno dalla campagna che le chiedeva conto del misfatto cosi gli rispose:
"E' caduta la luna giù per il camino. Non ho colpa, a chiunque si sarebbe rotta la pentola, anche al santo più bravo."
"Zitta, imbrogliona. Che mi racconti mai?
E dove sarebbe la luna ora?", chiese il padre.
"E' tramontata sotto terra. Come fa sempre."

lunedì 6 ottobre 2008

Follia d'amore (Pagine:129)

LEI

Mi appariva sempre davanti
come un fantasma di femmina
bellissima
se ne scompariva poi
come la coda di una nuvola
troppo radiosa per restarsene
ancora un po'
con me.
Sentivo le sue mani
armeggiare piano dietro la porta
e poi spingerla con decisione
in dentro.
Dopo qualche ora
spingerla con decisione
in fuori.
Veniva da me per fottere.
lo me la godevo come un cane di Dio
in Paradiso.
Poi lei filava via

La grande Milano (Pagine: 87)

Finalmente ero a Milano. Metafisica pane gas. Il sogno della mia vita. Ero un romanziere, volevo pubblicare ma tutto quello che avevo scritto era solo una baraonda di pagine su 4 ragazzi maledetti. Una sbobba senza capo ne coda lunga ben 500 pagine di computisteria buttate giù fitte fitte. Ne avevo da mangiare polenta prima di diventare qualcosa. Per il qualcuno mandavo ogni tanto qualche lettera alle alte sfere, ma non sapevo mai con che esito: non mi rispondeva mai nessuno. Forse per il semplice fatto the il cielo era disabitato ormai da un bel fracco di tempo.

Il fantasma dell'amore (Pagine: 47)

Ultimamente ci ho il riposo un po' disturbato. Mi metto a letto, guardo il soffitto e rimango li come una quaglia fucilata per ore e ore. Finche mi stanco di riposarmi, mi alzo e vado a mettermi seduto al mio tavolo di lavoro. Lavoro per modo di dire perchè anche li mi metto a non fare assolutamente nulla. Vorrei dormire per un mese di fila ma non riesco a appisolarmi nemmeno per mezzo minuto. INSONNIA, griderebbero a questo punto tutti. Ma non si tratta di questo. Questa sarebbe semplicemente una cazzata come un'altra per me. Il fatto e che c'e un'altra persona nella mia stanza con me e non so chi è. Questo e il mio vero problema. Anzi so chi è, ma non lo voglio sapere cosi faccio finta di non sapere chi è. Una cosa complicata perfino a raccontarla ma in effetti e semplicissima. Con me nell'unica stanza che rappresenta l'intero mio appartamento, il cesso è di fuori in qualche punto della galassia oltre il mio ballatoio, c'e sempre una persona che non mi molla un attimo e che in effetti sono completamente convinto che non esiste in nessun'altro posto che nella mia fantasia malata.

Bullazze e marmittoni -Parte2- (Pagine: 378)

PECOS BILL

C'era sto sciopero dei ferrofilotranvieri quella sera. Ma qualche autobus l'ATM fece pure in modo che andasse. E alla fine anch'io riuscii a trovare un mezzo che mi portasse da porta Genova fino a Piazza Negrelli, nei dintorni delta quale a quel tempo abitavo.
E manco ci portò fino a Piazza Negrelli quel dannato autista, ci scaricò già a via Watt davanti al circolo dei biscazzieri. Che doveva tornare in fretta indietro a prendere gli altri balordi ancora fermi ad aspettare e a bestemmiare l'intero calendario.
Ma anche noi che eravamo arrivati smontammo non senza masticare qualche amaro commento sui dubbi gusti sessuali dei dirigenti ATM, dei loro autisti e di seguito anche sulle loro consorti e parentela varia.
E cosi anch'io alzai il passo e con il mio zaino di libri me la svignai verso via Lodovico il Moro, avevo da scarpinare occhio e croce ancora per un paio di chilometri.
Me ne andavo di buona lena pensando a chissà cosa avrei mai trovato nel frigorifero o nella credenza. Era un bel pezzo the non facevo la spesa e da qualche sera accozzare insieme una cena stava diventando come vincere un terno al lotto.

Bullazze e marmittoni (pagine: 383)

LA ROSSA

Me ne aspettavo il 19 per andarmene a casa alla fermata all'inizio di via Torino. Un alveare di persone di sera dove qualche volta si poteva catturare qualche farfalla. Milano è una città di fate, oltre a essere una città di mostri.
Così la vidi, persa in mezzo alla folla. Una rossa vera con la faccia triste e angosciata. Giovane di vent'anni ma truccata e tirata come una signora borghese di media età. Una minigonna colorata, due gambe lunghissime e fasciate di seta nera. Sembrava lanciare il messaggio al cosmo intero: "Voglio un uomo!"
Me la figurai matta the rosolava alla brace un fesso legato in cucina, o porca the faceva cornuto un buono the si disperava sul letto di casa sua abbracciando un cuscino freddo. "Molto meglio starsene soli come me", pensai. Mi guardò anche lei e i nostri sguardi s'incrociarono: fu uno sprizzo formidabile di scintille per le due energie possenti che si scontrarono.
Mi sorrise e immediatamente si avvicinò.
- Mi accompagni a Cordusio? - disse. - Devo andarci per un appuntamento. -
- Certo. - le risposi e subito c'incamminammo per via Dante.

Il cavaliere del secchio (pagine: 467)

QUESTA VITA OSCURA

C'è dappertutto questa vita oscura anche nel tetro morire nel lurido mondezzaio dove i topi si prendono a cazzotti per quattro lire di fetori e nel latrare delle troie quando gli stalloni vomitano birra chiara schifosa sui loro merletti profumati e nel cielo stellato che mi sorride spingendomi fuori dalla ringhiera e facendomi cadere nei rovi dell'orto in mezzo ai gattoni neri tutti intenti a riempire di vino milanese i loro colossali bottiglioni e a baciare la muffa degli amplessi notturni con gli sbirri e le traditore e le puttane che saltano e calunniano e fottono come matti. Anche in te questa vita nera che ora te ne stai a Londra a fare i bocchini al tuo nuovo fidanzato indiano, anche in me provolone buttato nella spazzatura che me ne sto stravaccato nel buio metafisico della Barona, solo, fuso perso di te e innamoratissimo ancora come un ubriacone dissanguato.

L'arte di amare la vita (pagine: 313)

L'ARTE DI AMARE LA VITA

Tra la pioggia e l'oscuro
il tempo volge quasi sempre al brutto.
I grattacieli son tutti bagnati
e Milano sembra una dama assonnata
che non ne vuole sapere di alzarsi
e essere contenta.
Mi viene da essere triste
e così continuo a andarmene a ramengo in tram
per le periferie.
Quando lasciai la mia Puglia
non lo sapevo mica che mi sarei scordato del sole malandrino
a tutte le ore del giorno.
Ora me ne sto seduto in vettura
e guardo la luce pallida
fluttuare come un campo d'erba gialligna.
Le nuvole girano gravide e nere
come tante clienti squattrinate per la sera dei bagordi.
Comitive allegre, bottiglie di birra, noccioline,
rose rosse, emigranti stonati.
Corse e lentezze su entrambi i marciapiedi della strada.
Asciugo il vetro appannato con la mia mano
e osservo le basse sfere finalmente ingranare
per i tafferugli soliti, le notizie slabbrate,
le angosce dei telegiornali già in onda a gran cassa.
Così improvvisamente decido di filarmela indietro
alla chetichella.
Come son felice la sera
a tornare a casa dalla mia bella e i bambini.
Quando i pensieri la smettono di contorcersi
tutti gli affari del mondo
perdono la loro colossale fatua importanza,
quando il cuore è felice
anche la santa verità diventa una pezza vecchia
che non serve più a nulla.
"Ma facendo questo
tu manchi al tuo dovere di filosofo",
mi ha detto un mio amico collega
a scuola stamattina.
"Me ne fotto della filosofia, gli ho risposto,
lo è solo la vita che amo".
E con ciò credo di essere
il più grande pensatore vivente,
peccato che preferisca essere solo
un insignificante poeta vagabondo,
senza arte né parte
e pure con parecchi debiti in giro.
Ma non si può avere tutto dalla vita,
e detto in confidenza,
io manco ci penso di striscio.

Un piccolo Cristo da nulla (pagine: 83)

CAPITOLO 1.

- Te la do io la meraviglia del vivere, lurido verme, se non mi restituisci le cento biotte che mi devi. Pìccolo Cristo da nulla che sei. - disse Carmelo Fiore.

L'albergo era più o meno al centro di Milano. 'Il Cavaliere della Tavola Rotonda", credo si chiamasse. Carmelo Fiore era spaparanzato in un letto di una camera qualsiasi dell'ultimo piano. Venticinque credo che fossero. Non era un uomo cattivo ma aveva la cassa toracica non più grossa di una scatola di scarpe e lui era alto quasi due metri. Sembrava uscito direttamente da un quadro sconosciuto di Modigliani. Il suo soprannome era Shakespeare, perché era capace di recitare il monologo di Amleto tutto difilato senza quasi nemmeno prendere fiato. Era autore di una sola poesia che declamava a ogni occasione con gran successo. La sapevo a memoria anch'io una volta, quante volte l'avevo sentita, parlava comunque di treni che partivano nella notte e di una faccia triste e delusa che sorgeva in cielo che poi era lui. Se ne stava allampanato sul materasso con le sole mutande, sembrava una statua gotica venuta decisamente male. Fumava una sigaretta francese da un soldo...

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo Spinoza non conosce il male ACQUAVIVA (pagine: 130)

LA RISATA DI UN UOMO SAGGIO

(con tantissimi amici un po' sbandati come tutti in fatto di Amore e di Bene)

Molti amici, davvero tanti, vengono da me a chiedere consigli sull'Amore e sul Bene. Non so perché lo fanno. Infatti io sono solo un uomo qualunque che si comporta a spanna con la vita come un po' tutti. Sarà perché ho scritto molti libri e tenute molte lezioni su grandi filosofi dell'Occidente e così sembra a chi mi circonda che qualche aura di sapienza brilli pure su di me. Sarà pure così, anche se io non ne sono tanto convinto, ma fatto sta che vengono da me e insistono a chiedermi consigli sull'Amore e sul Bene. Siano essi emeriti professori, grandi poetesse, artisti sconosciuti, muratori, commesse, impiegate, spazzini, contadini, semplici studenti. E fatto sta che io, come un idiota, mi metto pure a risponder loro su tutta la linea quasi fossi per davvero un Pascal, o un Socrate o un Sartre a portata di mano. E il fatto è che non sono per niente un presuntuoso o un gallaccio da quattro soldi. Poi il bello è che, con mia gran meraviglia, li accontento e li soddisfo, prima di andar via, un po' tutti.

"Tu davvero mi dai delle dritte giuste, Giuseppe", mi dicono...





Pattugliatore acrobatico in volo di improvviso precipizio (pagine: 63)

CAPITOLO 1.

Era un palazzone sperso nel quartiere di Lambrate. Un casermone come un altro ficcato in una strada secondaria qualsiasi. Negozi di pane, di giornali pornografici, di televisori. Si andava sempre in giro molto volentieri da quelle parti. Un sogno dav~ vero. Una volta quel palazzone era stato un albergo di prima classe per gran signori e consorti. Lussuoso, brillante, di moda. Ma ne erano passati di anni da quel tempo. Gli anni di Milano poi, che menano e fanno impallidire tutto, anche la faccia illuminata di tutti i santi a faticare sulle facciate delle chiese... Come gli altri della carovana a trottare nelle strade di sotto, d'altronde.

Ero arrivato lì dritto dritto dalla pensione del Barlettano vicino al Palasport. Un posto allucinante dove non facevo altro che leggere Henry Miller, dormire e andare a troie. Bastava uscire dopo le undici di sera là e te le ritrovavi proprio sul marciapiede di casa, tutte le superfighe a ore che volevi. Come fare a sfuggire al peccato se quello ti stana appena messa la testa fuori di casa per vedere se piove o fa bel tempo? La complicazione era che in quel tugurio era tassativamente proibito portarsi a letto le puttane...